"Siamo passati dalla "società della disciplina" dove ci si dibatteva nel conflitto tra permesso e proibito, alla "società dell'efficienza e della performance spinta" dove ci si dibatte tra il possibile e l'impossibile senza nessun riguardo e, forse, nessuna percezione del concetto di"limite", per cui oggi siamo a chiederci: qual è il limite tra un atto di esuberanza ed una vera e propria aggressione tra un atto di insubordinazione e il misconoscimento di ogni gerarchia tra le strategie di seduzione troppo spinte e l'abuso sessuale?"
Umberto Galimberti
Violènza s. f. [dal lat. violentia, der. di violentus «violento»]. – 1. Con riferimento a persona, la caratteristica, il fatto di essere violento, soprattutto come tendenza abituale a usare la forza fisica in modo brutale o irrazionale, facendo anche ricorso a mezzi di offesa, al fine di imporre la propria volontà e di costringere alla sottomissione, coartando la volontà altrui sia di azione sia di pensiero e di espressione, o anche soltanto come modo incontrollato di sfogare i proprî moti istintivi e passionali: un uomo rozzo e volgare, noto per la sua v., per la v. del suo carattere o temperamento; era incapace di dominare (o controllare, frenare) la v. della sua indole. Per estens., riferito ai sentimenti e alle loro manifestazioni, forza particolarmente intensa: reprimere la v. degli istinti, della passione; sfogare, contenere la v. dell’ira. 2. a. Ogni atto o comportamento che faccia uso della forza fisica (con o senza l’impiego di armi o di altri mezzi di offesa) per recare danno ad altri nella persona o nei suoi beni o diritti, quindi anche per imprese delittuose (uccisioni, ferimenti, sevizie, stupri, sequestri di persone, rapine): ottenere, carpire, costringere con la v.; ricorrere, o fare ricorso, alla v.; farsi consegnare il denaro con la v.; atto di violenza, come singola azione o comportamento
(da http://www.treccani.it/vocabolario/violenza/)
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